Barack Obama ha scelto un catanese tra i 102 scienziati e ricercatori per il PECASE Award (Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers).
Si tratta della più alta onorificenza conferita dal governo degli Stati Uniti ad eminenti scienziati e ingegneri nelle prime fasi della loro carriera di ricerca.
Marco Pavone, catanese ex allievo della Scuola Superiore di Catania, ha 37 anni e il suo “low profile” è in totale contrapposizione al premio che ha ricevuto.
Non intende darsi delle arie.
Non ne ha il tempo.
Deve lavorare.
Insieme ad altri ingegneri e ricercatori, sta svolgendo un ruolo fondamentale per aiutare a mantenere alto il livello di ricerca negli Stati Uniti.
Barak Obama durante la sua premiazione ha detto:
“Questi investimenti ci consentono di essere all’avanguardia e contribuiscono a migliorare la nostra economia”.
Un dato di fatto è certo: Marco Pavone è andato via dall’Italia ed è per questo che lo abbiamo contattato.
Volevamo chiedergli le ragioni che lo hanno portato all’estero, volevamo parlare di “baronati” e “meritocrazia”. In realtà siamo riusciti a sapere molto di più e abbiamo capito che in USA è diverso.
Ai microfoni di Sud Look il Professore Pavone spiega:
“Mi occupo di robotica ed intelligenza artificiale. Sono attualmente Assistant Professor alla Stanford University nel dipartimento di ingegneria aerospaziale. Prima di Stanford, ho lavorato al centro NASA JPL a Pasadena su sistemi robotici per l’esplorazione planetaria, ed ho conseguito un dottorato di ricerca in ingegneria aerospaziale al MIT di Boston. Ho studiato ingegneria informatica all’università di Catania ed alla Scuola Superiore di Catania”.
Marco Pavone ha sempre avuto un sogno che era quello di lavorare su progetti di robotica e occuparsi di missioni NASA. E’ per questo che, quasi naturalmente, ha scelto l’America:
“La mia ricerca si focalizza sullo studio di tecniche di intelligenza artificiale per rendere sistemi robotici sempre più autonomi, sicuri, ed efficaci. I due ambiti di applicazione principali sono la robotica per l’esplorazione planetaria (ad esempio, Marte, comete, ed asteroidi) ed auto senza conducente”.
Entriamo nel vivo della nostra intervista chiedendo quali sono le differenze (dal punto di vista della ricerca) tra università italiane e straniere:
“Non conosco bene il sistema di ricerca italiano, visto che in Italia sono stato solo uno studente universitario. Per quanto riguarda gli Usa, il ruolo di professore universitario è molto bello perché è molto vario: si è chiaramente ricercatori, ma nel contempo si gestisce un gruppo di ricerca, si insegna, si fa consulenza per aziende. In altre parole, un professore universitario negli Usa (almeno in campo ingegneristico) gestisce una piccola start–up, finalizzata ad inventare tecnologie che possano avere in futuro un impatto positivo sulla società”.
Una testimonianza di quello che succede in America che ci consentirà di fare un confronto con l’Italia e presto Sud Look si occuperà anche di questo.
Chiediamo perché secondo lui molti giovani vanno via dall’Italia, la risposta, seppur equilibratissima, ci consente di avere un quadro ancora più chiaro:
“Penso che i fattori siano tanti. Due in particolare (almeno in campo ingegneristico): (1) stipendi relativamente bassi associati spesso a compiti lavorativi non particolarmente eccitanti, e (2) il timore che la progressione di carriera possa essere lenta e non necessariamente legata alle proprie capacità“.
La domanda successiva è quindi quasi obbligatoria:
Esiste la meritocrazia nel sistema universitario italiano?
“Ho avuto a che fare con professori poco diligenti e svogliati, ed al contempo con professori di altissimo livello. Quindi, almeno per il passato, il sistema di assunzioni e controllo e’ stato altalenante. Ora, però, mi sembra che si siano fatti dei miglioramenti notevoli a questo riguardo: diversi colleghi italiani che reputo molto in gamba sono diventati in maniera relativamente veloce professori universitari in Italia. Sebbene ho esperienza diretta solo con un numero ristretto di casi, ho la percezione che la meritocrazia stia diventando un aspetto sempre più importante nel sistema universitario italiano”.
Cosa consiglierebbe ad un giovane studente che vuole fare ricerca?
“Di trascorrere un periodo di ricerca all’estero. A prescindere da quello che si voglia fare nel lungo periodo, un’esperienza in un altro sistema di ricerca rende molto più aperti e accresce notevolmente il proprio bagaglio di conoscenze”.
Cerchiamo di spostarci, con qualche difficoltà, nella sfera delle emozioni, chiedendo:
Le manca mai la sua terra?
“Si certo, ma fortunatamente torno spesso in Italia, e sono sposato con un’italiana”
Obama ha scelto lei tra i tanti ingegneri, cosa ha pensato quando ha ricevuto il premio?
“E’ stato un grandissimo onore. Ma ora mi tocca lavorare ancora più sodo per non disattendere le aspettative!”
Tornerà mai in Italia?
“Per ora non pianifico di tornare in Italia. Spero, pero’, di poter presto mettere a servizio dell’Italia l’esperienza e le conoscenze che ho maturato negli USA”.
Chissà se l’Italia si lascerà scappare anche questa occasione.