Il 9 gennaio è morto Zygmunt Bauman, colui che veniva definito “filosofo della società liquida”.
Il filosofo polacco aveva 91 anni ed era uno tra i massimi intellettuali dell’età contemporanea. Attivo fino agli ultimi tempi, era un filosofo e sociologo molto prolifico, e da molti anni si era trasferito in Inghilterra, a Leeds, dove insegnava. La sua notorietà era dovuta principalmente alla “società liquida”, che è stata l’argomento di molti suoi saggi dedicati tra gli altri all’”amore liquido”, ed alla “vita liquida“.
Bauman ha affrontato molti temi della vita moderna, ed ha definito “liquido” il tessuto sociale e politico, della società contemporanea, cioè inafferrabile, in quanto sfuggente alle classificazioni proprie del secolo scorso. Una situazione, spiegava Bauman, causata dal crollo delle ideologie del secolo scorso, dalla globalizzazione e dal consumismo, con gli individui che si trovano ad essere spaesati e nello stesso tempo sotto posti alle “violenze” della società di oggi, ed ai cambiamenti. In uno dei suoi più celebri lavori, Bauman aveva indicato nelle omologazioni “collettive”, che a volte non si riescono a spiegare, la causa della “solitudine del cittadino globale”.
“Una relazione tascabile la tieni in tasca e puoi tirarla fuori quando serve- scriveva il sociologo in amore liquido- mantieni il controllo, stai sempre all’erta, non abbassare mai la guardia e se noti qualcosa che non avevi contrattato sii pronto a viaggiare”.
Zygmunt Bauman ed il problema dei migranti
Quello dei migranti è stato un tema fondamentale per Bauman che ha sempre dimostrato di essere un intellettuale molto aperto sia all’interazione con la realtà che al confronto umano. Il rapporto con “l’altro” e di conseguenza anche con gli stranieri è stato trattato spesso sia nei suoi saggi che nei suoi interventi. Quando l’Europa è stata coinvolta nelle crisi migratorie, subito dopo le primavere arabe e lo scoppio della guerra civile in Siria, Zygmunt Bauman si è sempre schierato a favore dell’accoglienza dei migranti e dei profughi in fuga dagli orrori delle guerre.
Bauman detestava i muri ed il razzismo, che vedeva come causati dalla paura di perdere il benessere, di per sé fragile. Un demone, quello della paura, che Bauman definiva come ingombrante. Un suo saggio dedicato a questo argomento è stato “Stranieri alle porte” edito in Italia da Laterza, ed in una intervista rilasciata recentemente al quotidiano “Repubblica” parlava delle notizie che si susseguivano ogni giorno dicendo: “Un giorno Lampedusa, un altro Calais, l’altro ancora la Macedonia. Ieri l’Austria, oggi la Libia. Che ‘notizie’ ci attendono domani? Ogni giorno incombe una nuova tragedia di rara insensibilità e cecità morale. Sono tutti segnali: stiamo precipitando, in maniera graduale ma inarrestabile, in una sorta di stanchezza della catastrofe”.
Per Baumann era necessario costruire ponti, e non muri, e la scelta di chiudersi in “stanze insonorizzate”, porta ad aggravare i problemi, e ad una terra desolata. Non riuscendo a resistere alla “precarietà” insita nella nostra società, secondo Bauman, ci si riduce a “scaricare” la rabbia verso le persone che arrivano nei nostri territori spinte da un destino atroce e non per libera scelta.
La vita di Zygmunt Bauman
Cittadino polacco di origini ebraiche, per sfuggire dalle persecuzioni del nazismo, Bauman nel 1939 fuggì in Unione Sovietica, ed in quel paese conobbe ed apprezzò l’ideologia marxista. Dopo la fine della IIa guerra mondiale fece ritorno nella sua Polonia, ed iniziò a studiare sociologia presso l’Università di Varsavia ottenendo nel giro di pochi anni la laurea. Subito dopo il trasferimento in Inghilterra, dove per decenni ha insegnato e si è dedicato alla formulazione delle sue teorie filosofiche e sociologiche. Una tra tutte “Modernità ed Olocausto”, nella quale esamina il rapporto tra il totalitarismo e la modernità, con riferimenti alla Shoah. Pur essendo un sopravvissuto dell’Olocausto, Bauman non ha avuto nessuna remora a criticare le azioni intraprese dal governo di Netanyahu con l’occupazione della Cisgiordania. Bauman ha etichettato questa operazione come una mossa suicida da parte dello stato israeliano, che avrebbe messo fine alle speranze di pace nel Medioriente.