Era il 2002 – primo anno di produzione e imbottigliamento della Tenuta delle Terre Nere – quando sulla retro etichetta l’Etna fu definita “la Borgogna del Mediterraneo”.
Marco De Grazia è uno degli investitori che ha aperto molti mercati – oggi Tenuta delle Terre Nere è bevuta in 75 stati – in cui «la richiesta supera di tre volte quanto prodotto». Il merito è sicuramente delle grandi intuizioni del patron Marco De Grazia, e dalla sua squadra. Punta d’attacco è Christian Liistro, siracusano, direttore marketing dell’azienda.
Disintossicato dalla frenesia quotidiana pre-pandemia ha passato «il lockdown come la media degli italiani: panificando. Ho approfittato anche di questi giorni per aiutare i contadini in un aranceto che sta entrando in produzione».
L’azienda etnea vanta una produzione che ha superato le 250.000 bottiglie da qualche anno, distribuite in più di 75 stati.
«L’80% dei nostri clienti appartengono al settore Horeca, uno dei segmenti di mercato maggiormente colpiti. Noi vantiamo una presenza in molti dei cinquanta stati americani, e vista la minaccia dei dazi prima del Covid-19 abbiamo dirottato parte della produzione su altri mercati: essere in così tanti stati ti permette una grande elasticità».
Una visione futura ottimista generata anche «dai segnali positivi che lasciano intuire una ripresa interessante».
«Paesi come la parte est del mondo – Cina e Taiwan per esempio – stanno ripartendo». Ordini alla mano «il retail rappresenta in questo momento il grosso del mercato, che insieme all’e-commerce ha vissuto un ‘secondo Natale’ visto le crescite aumentate dal 35 al 50%. Un lavoro no-stop in cui la logistica ha un ruolo fondamentale. Anche dal Missouri, dalla Florida e dall’Oregon ci sono delle riprese di ordinativi».
Come avete ottimizzato questo blocco in azienda?
«Abbiamo sfruttato il momento di stop per dedicarci ad attività di informazione e formazione di prima mano: oggi gli addetti al settore hanno potuto usufruire di incontri virtuali direttamente con il vignaron aprendo così la possibilità di comunicazione finalizzata ad agenti, ristoratori e sommelier senza passare dai distributori».
Un passaggio importante: da piattaforme logistiche a piattaforme di comunicazione. «Questa situazione ha portato e apportato un totale stravolgimento dei flussi di lavoro e dell’organizzazione. Io faccio 1000 km in meno la settimana, inquino di meno, sfrutto al massimo cellullare e pc».
Resta il fatto che alcuni mercati occorre andare per capire al meglio la cultura e come lavora il distributore..
«Eppure questo sistemo è cambiato. Chi sta avendo rapporti diretti con i produttori ne beneficerà anche in futuro. Anche il ruolo degli agenti è cambiato: oggi sono più brand ambassador che dovranno raccontare le novità delle aziende che rappresentano e aggiornare i clienti». Ci sarà da capire se si tratta di un ruolo aggiuntivo o sostitutivo. Sicuramente occorre molta competenza e fortuna nel capire come il processo di vendita cambierà.
«Ci vuole cultura».
Cosa intendi per cultura nel vino?
«La cultura è la differenza tra il bere bene e non bere bene».
Chistrian dal 2017 data la sua grande sensibilità in materia, ha promosso il Progetto EtnAmbiente in Strada del vino dell’Etna.
«Se c’è una cosa che questa esperienza di lockdown mi sta insegnando in termini di tutale ambientale è che il comportamento di base delle persone non è cambiato: vedi come buttano mascherine e guanti incuranti di poter contagiare o inquinare. Se le cose non si fanno per cultura non sono questi motivi esogeni a farci cambiare. Ecco, di questo sono molto preoccupato: è vero che c’è stata la riduzione di CO2 con il blocco, ma nessun governo si sta impegnando per cambiare ad esempio il ciclo produttivo delle industrie, o ancora non ho visto nessun intervento per cambiare l’economia e nessuna attenzione per l’ambiente. Passato lo shock si ritornerà ai grossi consumi di petrolio. In questo dramma mi consolerò – se si può – con i meno scarichi a mare, meno barche: spero che sarà un’estate memorabile per le nostre spiagge».