Me lo aveva detto Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, che ci sarebbe stato incenzo nell’aria; perchè noi che la musica la amiamo, ma la amiamo veramente, quando andiamo ad un concerto ne abbiamo la visione sacrale e il momento dell’esibizione dell’artista è una sorta di rito.
Ora, però non accusatemi di blasfemia, altrimenti non saprò come dirvi che, sul palco, Colapesce si è presentato con il collare bianco, sotto la camicia nera, tipico dell’abbigliamento dei preti (idem la band che lo accompagnava). Il gioco è fatto, ricordando che il titolo del suo terzo, riuscitissimo album è “Infedele”. La religione, comunque, non c’entra davvero nulla, come spiega, ospite del “Salotto” di Radio Studio Centrale.
La verità, invece, è che per i bravi cantautori indie c’è una sorta di codice da rispettare, per non turbare l’animo degli “eletti” che li ascoltano.
A me sembra proprio che Colapesce di questo “codice” se ne sia abbondantemente fregato, perchè la musica in quanto tale non può ammettere limitazioni, etichettature sterili, tanto meno mono-temi (musicali, quanto concettuali), ecco perchè mi sono convinta che quel titolo, Infedele, appunto, sia una dichiarazione si, ma carica di ironia. Poi, si sa, l’arte è sempre interpretazione, ma, oggettivamente, il terzo lavoro del talentuoso cantautore siciliano appare proprio come quello della maturità.
Colapesce è un cantautore moderno-antico, ha una scrittura che indugia con grazia sulla lingua italiana, ammiccando, ma senza malizia alcuna, a quell’elettropop che funziona così tanto ma che, per lui, non è affatto una gabbia, ma solo uno dei punti di vista possibili sulla musica.