Oggi è un simbolo del made in Italy, ma il pomodoro ci ha messo un pò di tempo per essere accettato da tutti.
A iniziare il “sabotaggio” furono i medici cinquecenteschi sentenziando che potesse generare “malinconia”. Alcuni lo consideravano persino velenoso, ma in realtà presto diventò il “frutto supremo del mediterraneo”.
Le sue origini sono lontanissime, nel 700 era coltivato dagli INCAS nei territori andini per poi approdare in Messico e arrivare in Spagna grazie a Hernán Cortés.
Dopo la Spagna l’Italia fu il primo paese europeo a conoscere il pomodoro con i Borbone.
La Sicilia è stata la prima regione italiana che conobbe la nuova pianta oggi protagonista di questa bellissima storia dedicata al buttiglieddru di Licata la nuova specie di pomodoro diventata da poco presidio slow food.
A parlarci di questa bella novità tutta siciliana è l’agronomo referente di Slow Food Sicilia per l’area di Agrigento, Ignazio Vassallo:
«Si tratta di una popolazione di pomodori arrivata in Sicilia moltissimi anni fa. E’ un pomodoro piccolino con una parte appuntita, da queste caratteristiche nasce il suo nome “buttiglieddru”, la forma obovata ricorda infatti una piccola bottiglia».
Coltivato nell’areale più calde della Sicilia tra Licata e Gela, il pomodoro buttiglieddru veniva piantato vicino al mare.
«Qui gli agricoltori facevano apprestamenti protettivi con delle cannucce e lo riparavano dall’aria fredda- ci racconta Ignazio Vassallo e continua-si seminava nel mese di dicembre in piccole buche dove prima si poneva letame non completamente maturo. La fermentazione produceva calore, aiutando la germinazione dei semi. Si sceglievano i terreni vicini al mare per beneficiare del suo effetto termo-regolarizzante. Questo pomodoro aveva delle caratteristiche uniche, riusciva a maturare a maggio o fine di maggio. Per questo motivo il mercato di Licata, negli anni 60 era il primo mercato d’Europa dove si poteva trovare il pomodoro».
Resistente alla siccità del terreno e al caldo afoso della Sicilia, il pomodoro buttiglieddru negli anni ha riscontrato qualche problema; la coltivazione era stata abbandonata. Troppo complicata la raccolta, difficile la cura, eccessiva la fatica.
«Servono manualità e tecniche ben precise sottolinea Vassallo e aggiunge- grazie a un gruppo di giovani locatesi guidati da Enzo Graci che hanno ripreso la coltivazione con tecniche innovative oggi il buttiglieddru è diventato presidio SLOW FOOD.
Non viene fatto con i semi, ma con delle piccole piantine e con concime organico. Sono esclusi i trattamenti chimici. Si può raccogliere quando è appena invaiato, destinato al solo consumo fresco e chiamato “insalataro”, oppure quando è di colore rosso intenso e perfetto anche per i trasformati. La pezzatura si aggira sui 25-30 grammi, la buccia è croccante e la polpa ha una consistenza soda. Ma è soprattutto la dolcezza a renderlo molto caro ai licatesi. Il suo grado brix (la scala che misura il contenuto zuccherino) raggiunge valori tra 6 e 8, a seconda delle annate.
Il buttiglieddru si coltiva in pieno campo e in asciutto, su terreni lavorati superficialmente».
E’ cosi che il buttiglieddru ha una nuova vita, ricca di gusto e fascino.
E noi gli diamo il benvenuto tra i prodotti Slow Food.
Foto dell’associazione tutela del pomodorino Buttiglieddru di Licata.