«Con l’aiuto di Salvatore D’Amico ho iniziato un piccolo progetto a Salina dove abbiamo piantato 600 alberelli di vite a piede franco. Varietà Malvasia, tipica delle isole.
È un progetto in collaborazione con l’Università di Palermo per studiare e vedere il comportamento della vite franco di piede in quel contesto: siamo al secondo anno e nel giro di altri 2 anni potrebbe dare i primi frutti buoni alla vinificazione».
Al telefono è Simone Foti, un cognome fortemente legato alla storia dell’Etna del vino.
Figlio dell’enologo Salvo, Simone è un giovane rampante e promettente che da qualche anno coadiuva con il fratello Andrea il padre nella cura della cantina e dell’omonimo consorzio “I Vigneri”.
Cuore pulsante e centro operativo è Palmento Caselle, a Milo.
Nella terra dell’Etna bianco Superiore, tutti i Foti si sbracciano quotidianamente per portare avanti i lavori.
Anche in pandemia, capace di fermare solo i lavori del cantiere per la nuova cantina, in vigna il lavoro non si è mai fermato.
In questa zona e qualche ettaro sul versante Nord, per un totale di cinque ettari, sono le vigne di proprietà che si sommano alle aziende consorziate in cui la squadra dei vigneti opera.
L’obiettivo? Tutelare il paesaggio e “il territorio che dovrebbe uscire prima di tutto all’assaggio”.
«I Vigneri sono una garanzia per il consumatore finale – mi spiega il giovane Foti – in cui oltre all’alberello come metodo di allevamento della vite, il palo di castagno e lo stesso team di lavoro si convidono i fornitori. Il consorzio nasce nel 2000 con una visione chiara e come gruppo di acquisto così da risparmiare e fare gioco forza con la collaborazione.»
Sia chiaro, l’alberello non è una fissazione di Salvo Foti, bensì il sistema tradizionale più antico e particolarmente legato alle terrazze etnee.
«Gli sbancamenti sull’Etna sono fatti per un discorso economico e per industrializzare il vino. Se esistono delle terrazze – continua Simone – ed esistono da molto tempo, un motivo c’è».
«Noi de I Vigneri non ne facciamo un discorso quantitativo – sottolinea Simone – guardiamo alla qualità. I nostri interlocutori sono gli amanti del vino che ha un’anima: i vini, nella nostra visione, devono essere rappresentativi del territorio, nel rispetto dell’ambiente e delle persone. Se proprio dovessi identificare una mission direi che puntiamo a fare vini di territorio».
Cosa state facendo in questo momento?
«Stiamo lavorando il suolo trattandolo con zolfo e rame per evitare un probabile attacco di oidio. Serve seguire la fase vegetativa della pianta e procedere con le legature» in un alberello sono 5/6 passaggi da fare in un anno.
In attesa del caldo stabile, Simone ci rassicura: «l’umidità e il freddo delle scorse settimane non hanno colpito le piante».
Il lavoro di cantina prosegue con controlli, assaggi, colmature.
Quello che ha subito maggiormente questo lockdown è sicuramente il settore commerciale.
«Eravamo organizzati per andare in America per la prima volta e visitare i nostri clienti: noi facciamo l’80% di export e come mercato quello americano è quello che si interessa maggiormente ai nostri vini» a seguire Giappone e il mercato europeo con Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania.
Le vendite online?
«Grazie al distributore Italia si è venduto qualcosa online, ovviamente piccoli numeri rispetto ai trend di mercato pre-Covid».
Come vedi il futuro?
«Per il futuro spero bene. L’Etna è un territorio in cui credo molto e non vorrei trovarmi in difficoltà. Mi auguro che si riesca a creare una rete più larga e si contini tutto quello che è stato creato ad oggi: tutto può essere messo in discussione, ma è necessario che chi investe sull’Etna lo faccia per ritornare al territorio. Ci vuole amore e competenza».