Bionda, rossa o scura. Ci hanno abituato che la birra sia questo, o al massimo leggera o doppio malto. Raccontano che in una birra ci siano sei, otto o nove luppoli, e che vada bevuta fredda, anzi ghiacciata. Ci hanno dato e costruito una idea di birra il cui miglior abbinamento sia una gran fica, magari bionda con labbra carnose. Eppure, la birra non è questo. Anzi, citando Kuaska – Lorenzo Dabove, il maggior divulgatore di cultura birraria italiano – “la birra non esiste. Esistono le birre!”.
Provare per credere: basta entrare in un pub specializzato, uno di quelli che vende solo birre artigianali per vedere con i vostri occhi come si tratta il tema birra.
Sin da subito scoprirete che le birre non sono le sorelle sceme del vino, e nemmeno le cugine. Anzi con le birre si può osare dove non può il vino.
È un mondo – quello delle birre – fatto di piccole ma efficaci regole:
La birra si beve al bancone. Se per Rocky il ring è la strada, per le birre il posto giusto è il bancone. Non importa chi siete, o da dove venite, e nemmeno che lavoro fate, al bancone si siede tutti alla stessa altezza; si possono poggiare i gomiti e si può interloquire più facilmente con il publican, il divulgatore di cultura birraria.
Quando scegliete una birra non partite dal colore. Se volete farvi consigliare una birra cominciate con le caratteristiche che volete trovare: iniziate ad esempio a chiedere una birra a tendenza dolce o amara, indicate se cercate un corpo esile o pieno, e magari fatevi una idea di quante birre avete intenzione di bere cercando di mantenervi in linea o in crescendo con la gradazione alcolica e con le persistenze. Non tornate indietro e ovviamente non esagerate.
La birra con doppio malto non esiste. Con “doppio malto” – si usa in Italia e solo da noi – si indicano tutte quelle birre che superano 14,5 gradi plato. È una denominazione – doppio malto – che viene utilizzata dal fisco per poter regolamentare le birre prodotte da un punto di vista della tassazione. Una legge del 1962 prevede la disciplina della produzione delle birre in base al grado saccarometrico, ovvero la percentuale dello zucchero presente nel mosto (fase antecedente alla fermentazione). Esiste dunque:
la birra analcolica, con un grado Plato (che si basa appunto sul saccarosio presente) tra 3 e 8 e la gradazione non superiore all’1%;
la birra light, con il Plato tra 5 e 10.5 e un massimo di percentuale alcolica del 3.5%;
la birra normale, con un grado di 10.5 e gradazione alcolica superiore al 3.5%;
la birra speciale arriva ad una grado di Plato di 12.5;
la birra doppio malto si ha quando il Plato è di 14.5.
Una birra doppio malto viene chiamata e classificata cosi – quindi – solo perché ha una percentuale zuccherina maggiore delle altre birre. Non occorre contare i malti perché doppio malto non vuol dire che si siano utilizzati due malti, e nemmeno in quantità doppia. In ogni ricetta di birra – a secondo del risultato che il mastro birraio vuole ottenere – si possono utilizzare da uno a più malti differenti, dove provenienza e tostatura, così come la tipologia utilizzata andranno a determinare i risultati e le caratteristiche organolettiche.
Le birre artigianali (forse) non salveranno il mondo, ma hanno delle caratteristiche uniche: sono sincera, sono vera e sono vive.
Sincere perché ci dicono sin da subito se sono ben lavorate, se ben conservate e se utilizzano materie prime di buona qualità. Certo, magari non a tutti e magari non subito; un discreto bevitore di birra o comunque con un buon palato si accorgerà subito di un prodotto sbilanciato o intercetterà i difetti – qualora ci fossero – più evidenti.
La birra artigianale è vera perché utilizza veramente acqua, malti, luppoli e lieviti. A differenze delle birre industriali che – il mondo craft definisce cadaveri o birre morte – utilizzano mais e altri cerali o malti solo a fini quasi totalmente cromatici visto il totale appiattimento dei sapori e la quasi inesistenza degli odori.
Infine è birra viva perché in evoluzione. La birra artigianali non è pastorizzata (e non può esserlo per definirsi tale) e ogni stile ha una propria curva e tempistiche di maturazione. È un prodotto delicato che va trattato e conservato seguendo i giusti accorgimenti. Basta poco a distruggere il lavoro del birrificio: il trasporto, la conservazione, così come anche la scelta del bicchiere e la spillatura sono fattori che incidono sul risultato organolettico.
Dietro le birre artigianali c’è un modo di essere fatto di piccole aziende, la maggior parte giovani e appassionati. Prima di tutto c’è il piacere di una buona birra.
Se non troverete le birre artigianali di qualità in un locale e tuttavia diversi prodotti da chiosco o supermercato non stupitevi della scarsa qualità o di un approccio totalmente appiattito al profitto spinto: probabilmente sarà un’attività che non fa ricerca, formazione e non pone attenzione alla qualità.
La qualità è una scelta, è cultura, e va trasmessa e declinata in tutto, senza troppi compromessi.