Portare il vino del vulcano in centro città: è stata questa la sfida di Etnamade, il primo appuntamento esclusivamente dedicato ai vini etnei.
In due giorni Etnamade ha voluto instaurare un dialogo con la città e polarizzare l’attenzione sulla qualità e sulla particolarità del fenomeno Etna Doc divenuto brand dal forte appeal che richiama appassionati da tutto il mondo.
La manifestazione organizzata da Francesco Chittari con Scirocco Lab è stata un primo passo verso l’unione di due mondi così vicini fisicamente e ancora così distanti: L’Etna e gli etnei.
Sotto i portici dell’Istituto Ardizzone Gioieni, nella parte più alta della centralissima via Etnea più di 20 cantine e un programma di cene e masterclass hanno provato un primo avvicinamento, costituendo di fatto una messa a fuoco specifica.
Un focus particolarmente riuscito con la masterclass che ha aperto e dato il via alla manifestazione lo scorso 31 maggio, dal tema “Dalla Contrada alla Vigna l’Etna e l’evoluzione dal Cru al Clos, fra sperimentazione e tradizione” abilmente condotta da Paolo Di Caro, Presidente Fondazione Italiana Sommelier, con il coinvolgimento dei produttori e dei tecnici d’azienda.
Il richiamo è palese: l’intenzione è quella di un raffronto ideale con i cugini francesi che da sempre distinguono i vini provenienti da specifici segmenti di vigna, una distinzione che permette una valorizzazione del prodotto finale anche in termini di percezione di mercato.
Sull’Etna questo tipo di consapevolezza prende piede negli ultimi anni, ma si tratta in realtà di una tendenza di ritorno poiché c’è tutta una tradizione orale contadina (in parte perduta) che gli antichi vigneri, maestranze di vigna, si tramandavano di padre in figlio.
La masterclass ha previsto un giro dell’Etna in 5 calici, individuando degli assaggi particolarmente rappresentativi di un terroir così complesso dove il sottosuolo cambia ad ogni passo grazie ai substrati lavici che si sono spalmati nel tempo in modo disomogeneo, un microclima ideale perfetto per la vite, uno scrigno di biodiversità nel quale la differenza è ricchezza, valore aggiunto.
Ad aprire la degustazione “Vigna di Milo Caselle” Etna Bianco Superiore 2015, una produzione di sole 2.500 bottiglie per il carricante in purezza firmato da Salvo Foti con la sua etichetta I Vigneri, un consorzio di produttori che punta al recupero delle antiche pratiche di vigna, un vino umano che si porta addosso tutta l’intensità e il valore della fatica consumata nel produrlo.
Il secondo vino è Tenuta Tascante “Contrada Sciara Nuova” di Tasca d’Almerita, annata 2016. Si tratta di una vigna delimitata da un cancello, appena 1 ettaro dove le piante di Nerello Mascalese hanno trovato un ambiente pedoclimatico unico nel quale esprimere un’identità ben precisa: al naso il vino presenta una particolare nota ferrosa e un sentore inconfondibile di arancia sanguinella che ricorda il sole di Sicilia.
Forse il progetto più giovane fra tutti, e probabilmente per questo meno conosciuto, ma di così grande valore che ogni volta che lo si assaggia rimane addosso quel senso di appagamento per un vino che ha delle sembianze mistiche che rasentano la perfezione: il Vico di Tenute Bosco è un vino che nasce dall’omonima vigna in contrada Santo Spirito, nel versante Etna Nord. L’annata 2015 è ancora giovane ma è già straordinario e si sente in progressione un’evoluzione che potrà dare ancora grandi soddisfazioni. Inchiostro di china, grafite e speziature sono i sentori che marcano il timbro olfattivo di questo potente vino del vulcano.
Il penultimo vino è un’etichetta di tendenza, quotatissimo sia a livello nazionale che internazionale sta già riscuotendo un grande successo ed è considerato uno dei vini più rappresentativi dell’Etna, è il Vigna Barbagalli di Pietradolce, l’etichetta della famiglia Faro. Prodotto in contrada Rampante, nel versante Nord del vulcano, le piante hanno mediamente 80/90 anni e producono piccoli grappoli spargoli. Il 2015 porta con sé note di rabarbaro, tintura di iodio, profumi balsamici ed un tannino ancora giovane.
Il winetasting si conclude con Arcurìa sopra il pozzo 2015 un vino così riconoscibile che Alberto Graci, il produttore, di anno in anno ha saputo infallibilmente individuare alla cieca fra i vari campioni di botte. La prima uscita sul mercato internazionale l’anno scorso, questo è il primo anno che viene commercializzato in Italia. Un vino complesso dove i sentori si rincorrono nel calice: nocciole, arance sanguinelle, eucalipto, ma la vera spina dorsale resta la grande mineralità che accomuna tanti dei migliori vini del vulcano.
L’immagine è chiara: si va verso una direzione di specificità che valorizzi la provenienza per particella, un merito che dobbiamo riconoscere al microcontinente Etna, un universo di differenze che costituiscono la complessità e la ricchezza dei vini del vulcano, che stiamo lentamente riscoprendo.