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Glam City: ovvero la Catania degli anni ’70, vista con gli occhi di Gerry Garozzo

Parola d’ordine: Passione. Senza Passione il Teatro è muto. Quando uso l’abusato termine “Passione”, mi ricollego all’etimologia della parola, che indica si afflato, coinvolgimento, carnalità, ma anche sofferenza.
Soffre l’attore che si cala in panni, talvolta dolorosi, che si scinde da sè, per divenire altro, che si trasfigura; ma soffre anche il Teatro in quanto Arte che, delle sette muse, è al momento (in Italia) la più disgraziata.
Il teatro ha bisogni di interpreti, ma anche di luoghi nei quali esercitare, da una parte, fruire, dall’altra; e, in Italia, questi luoghi sono sempre meno. Per questa ragione quando mi imbatto in gente come Nicola Alberto Orofino e Silvio Laviano mi sento di rendere onore al loro “Servizio”(di resistenza).

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Mentre mi raccontano, nel mio Salotto radiofonico, di “Gerry Garozzo – Glam City”, in scena il 19, 20 e 21 Gennaio in un luogo fortemente simbolico come il Teatro Coppola, hanno gli occhi scintillanti e la frenesia di raccontare, senza troppo svelare.
La pièce, tratta dal romanzo del concittadino Domenico Trischitta, trasporta lo spettatore in una Catania che molti di noi non hanno conosciuto, ma tutti hanno sentito raccontare: quella Catania degli anni ’70 piena di speranze e desideri, proiettata verso una dimensione metropolitana, ma ancora provinciale.
La Catania letta, vissuta e raccontata dalla prospettiva dell’artista, del trasformista Gerry Garozzo, a cui, questa città deve essere apparsa davvero troppo “piccola” dopo l’incontro con l’astro nascente del Glam Rock, Marc Bolan, in quella Londra che ha segnato e ri-disegnato il costume di un’epoca in maniera indelebile.

 

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