All’origine ci fu l’amore.
Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara si incontrarono negli anni Ottanta dell’Ottocento in Giappone.
Ragusa era un affermato scultore siciliano, O’Tama muoveva i primi passi nell’arte nipponica come pittrice raffinata. Cominciò così un sodalizio umano e artistico che dal Giappone si trasferì in Sicilia con una contaminazione di stili, di tecniche e di colori.
“Migrazione di stili” è infatti il titolo della mostra delle opere di O’Tama, in parte conosciute e in parte recuperate e restaurate, promossa dalla Fondazione Federico II in un percorso espositivo rinnovato a Palazzo Reale.
La mostra fino al 6 aprile a Palermo, riguarda 80 opere tra manufatti, cartoni e tessuti tra cui alcune pregiate carte similpelle (kinkava-gami) e 46 acquerelli di grande delicatezza cromatica.
Sono opere che O’Tama realizzò dopo il trasferimento a Palermo, dove visse per 51 anni, e il matrimonio con Ragusa che aveva realizzato in casa con i pezzi importati dal Giappone un museo orientale, progetto dal quale è poi nato il liceo artistico.
A Palermo O’Tama, che tanto amava la Sicilia, fu protagonista di una testimonianza nella quale miscelò l’arte sognante del suo paese con la cultura europea: una miscellanea che dal grafismo sintetico va verso il naturalismo e il realismo.
Le opere rappresentano
un incontro di culture diverse. Per questo la presenza di O’Tama proiettò Palermo in uno scenario europeo e la fece diventare il cuore del fenomeno internazionale chiamato “giapponismo”, nel quale aveva una parte anche la moda degli oggetti esotici da esporre.
“O’Tama – dice il direttore generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso – riuscì a rompere gli schemi e aprì la via all’innovazione. L’artista ebbe il coraggio e la caparbietà di integrarsi in un mondo nuovo con differenti tradizioni culturali e di promuovere una nuova arte in qualche modo antesignana dei nuovi canoni del liberty”.
Per il presidente dell’Ars e della Fondazione Federico II Gianfranco Miccichè “O’Tama entra a Palazzo Reale perchè le sia restituita il favore artistico che merita e per cancellare le ostilità che avevano impedito a Palermo di diventare un polo del giapponismo”.
“La sua – aggiunge la curatrice Maria Antonietta Spadaro – è una pittura fuori dal tempo, eclettica e variabile, che segue canoni originali”.
O’Tama ritornò in Giappone dopo la morte di Ragusa. E quando si spense, nel 1939, volle che le sue ceneri fossero divise tra il Tempio di famiglia, in Giappone, e la tomba del marito nel cimitero palermitano dei Rotoli.