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Quando la fotografia è di CASA, Alessandro Gruttadauria si racconta

Ogni creazione racconta una storia.

Musicista e compositore, Alessandro Gruttadauria è arrivato alla fotografia dopo aver sperimentato diversi percorsi.
L’amore per la musica e la composizione non lo hanno mai abbandonato, cosi grazie al suo mix creativo e ai suoi studi, Alessandro si è specializzato in ritratto e fotografia d’interni.

Un master in fotografia pubblicitaria, ritratto e foto ritocco professional conseguito a Milano, una grande esperienza acquisita sul campo grazie ad un team di architetti che lo ha coinvolto negli anni.
Alessandro, che ormai conosce bene il settore turistico e immobiliare, spiega a SudLook i segreti per raccontarlo attraverso le immagini e svela il ricordo più importante della sua vita legato a una persona speciale.

La tua passione per la fotografia nasce dopo aver scoperto la musica e la composizione, in che modo questi due elementi hanno influito nel tuo modo di fotografare?

«Ho sempre pensato che l’arte, in ogni sua forma, riesca a sollevare la propria anima. La musica e la composizione sono arrivate insieme, all’improvviso. Non pensavo mai di poter avere questa dote e poter scrivere canzoni, ma è successo e non mi sono mai chiesto il perché. È successo e basta, l’ho fatto mio. Sicuramente questo mio animo artistico, ha lasciato negli anni spazio alle immagini, perché quando scrivi canzoni queste immagini le crei nella tua mente per poter raccontare in musica una storia. Quindi credo che sì, la musica e soprattutto la composizione abbiano influito positivamente e artisticamente sul mio modo di vedere la fotografia, senza mai regole, ma lasciando libero arbitrio alla mia ispirazione ed al mio occhio».

La Fotografia d’interni rappresenta uno strumento importante per raccontare lo spazio attraverso il proprio occhio. Servono competenza, ma anche cultura in campo estetico, artistico, architettonico. Come nasce questa passione?
In che modo si è sviluppata?

«La passione per la fotografia d’interni, che oggi non è più passione ma un lavoro, nasce dall’esigenza di attenzione all’ordine e alle geometrie perfette. E lasciatemelo dire, a una ossessione quasi maniacale verso il bello.Esaltare in immagini quelle architetture per me è un’emozione unica.Sono un perfezionista e non lascio nulla al caso e con la fotografia d’interni esce fuori questo lato del mio carattere, questa mia propensione.
Anche questa forma di fotografia si è sviluppata così se vogliamo per gioco, senza che me ne rendessi conto.Ho la fortuna di avere parenti e amici architetti, e seguendo i loro lavori di fine ristrutturazione di ville o appartamenti ne rimanevo incantato.
Ho iniziato a fotografarli e mi sono reso conto che adoravo quel tipo di fotografia».


Qual è il tuo tratto distintivo?

«Scusate il gioco di parole, ma l’istintività, ovviamente sulla fotografia d’interni vale a poco, perché devi necessariamente seguire le geometrie dettate dall’interno. Per la fotografia di ritratti (portrait), invece, vale la regola: segui il tuo cuore, segui il tuo istinto, e il tuo occhio ti porterà dritto all’anima del soggetto.
Di solito le fotografie più belle sono quelle meno ragionate forse le più “sbagliate”».


Quali sono le architetture più difficili da rappresentare?

«Per me quelle che non puoi fotografare, perché un’architettura è lì che ti guarda e tu lo ammiri e hai tutto il tempo per poter scegliere e capire qual è il momento giusto per rappresentarla al meglio».

Che valore ha la luce nella fotografia d’interni?

«Partiamo dal punto che la fotografia è fatta di luce, senza questa non ci sarebbe nulla. Negli interni così come nei ritratti, la luce giusta esalta il soggetto fotografato, quello che vuoi esprimere, uno stesso soggetto con luci differenti cambia il significato e la forza stessa di una foto. Per la fotografia d’interni, preferisco avere sempre una luce uniforme, con qualche taglio di ombre se ho da esaltare qualche particolare geometria».

Osservando le tue immagini ci sembra di capire che preferisci il racconto reale al sensazionalismo. Perché?

«Semplicemente perché noi essere umani e le costruzioni siamo intrisi di racconti veri, reali. Quando faccio street photography cerco la verità non voglio costruire un’immagine, la voglio cogliere così per come è. Il sensazionalismo è frutto della realtà, ci sono foto realistiche che hanno del sensazionale se riesci a coglierli in determinati momenti».

Tra i tuoi lavori esiste quello a cui è più affezionato? Qual è il ricordo più importate che porterà sempre con se?

«La mia mostra su New York City 1998. Una serie di immagini che raccontano e racchiudono quelle che sono oggi le mie forme di espressione fotografica, street ritratti e architettura, in quegli scatti c’è tutto questo. Il ricordo più importante riguardo la fotografia è legato al mio periodo a Milano quando studiavo fotografia, alle persone e artisti che ho conosciuto in quella occasione, che ognuno di loro mi ha lasciato tanto da un punto di vista umano e professionale, con cui ancora oggi mi sento e collaboro professionalmente. Mentre il ricordo più importante della mia vita da essere umano è legato a un ricordo doloroso, la perdita di mio padre nel 2000, che mi ha reso l’uomo che oggi sono nel bene e nel male. Un pensiero va a lui ogni giorno da più di 20 anni. E a lui voglio dedicare questa bella intervista

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