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Gaetano, pietra Perriera della famiglia Camarda

Il vigneto di Gaetano e Graziella Camarda con il Mojo sullo sfondo. Foto Alessia Zuppelli

«La cura della vigna è come per le persone: ogni vite è una persona. Se la persona si cura cresce bene e in salute; se si lascia trasandare, non si pulisce la pelle ‘scoccia’ (si indurisce e cade ndr)». È forse in queste parole di Gaetano Camarda che si racchiude la saggezza degli anziani e dei galantuomini di altri tempi che come lui che riescono a farti capire il valore dell’ascolto, del tradere.

È da questa umanizzazione della pianta che occorre partire per capire quella che oggi chiamiamo filosofia di vita – e del vino in questo caso – che fieramente vanta ogni etichetta prodotta dal Sig. Camarda e sua figlia Graziella.

Ho perso il conto di quante vigne e cantine ho visitato, eppure so per certo che visitare gli ettari curati da Gaetano e Graziella Camarda mi hanno fatto sentire il piccolo Kolyma al cospetto di Nonno Kurzja in Educazione Siberiana. Ogni frase un insegnamento di vita, un significato profondo da cogliere.

Sebastiano Gaetano Camarda, classe ’39 etneo nato sotto i bombardamenti della guerra, è uno dei pochi innestatori in campo rimasti. Sono solo in due a Passopisciaro. Autoctono come i vitigni che ogni giorno con dedizione cura, ha iniziato a lavorare in vigna da bambino. A 13 anni il capo squadra l’ha voluto con lui per innestare i vigneti delle grande aziende. Cresciuto nel dopoguerra e laureato all’Università della vita, ti guarda con gli occhi profondi di esperienza e totale consapevolezza di quel che dice. Un libro di ricordi da cogliere per entrare dentro il vulcano.

Nei suoi vigneti, circa due ettari e mezzo a maggioranza di Nerello mascalese, crescono anche viti di Grecanico, Zibibbo, Minnella bianca e nera, Insolia e Nerello cappuccio, anche se quest’ultimo non particolarmente amato dal vignaron. Una vigna ‘maritata’ quella dei Camarda, il sistema dell’antico del vigneto etneo in cui a farsi largo tra gli alberelli di vite – alcuni potati a filare – anche alberi da frutto. Non un filo di erba nel vigneto se non ai bordi qualche finocchio o altre erba da utilizzare in cucina. 

Da una parte una colata del 1500, dall’altra una del 1700 circa. E poi il Mojo, il vecchio vulcano e di fronte l’Etna a dominare. In mezzo le vigne e le terrazze di muri a secco fatti da Gaetano.

Foto Alessia Zuppelli

Rispetto e pudore per l’ambiente e la natura che ha imparato a conoscere ed interpretare. Consapevole dei limiti dell’uomo e che nel suo ‘lavoro’ che «deve guardare il tempo» e sottostare ad esso.

Se qualcuno nasce con la camicia, Gaetano Camarda è nato con la zappa, anzi con lo zappone che utilizza per curare il terreno. Sono pochissimi i trattamenti, unicamente di zolfo e rame perché «oggi la chimica ci sta distruggendo e tutte queste malattie ne sono la prova. Come ogni cosa ha i pro e i contro e avendone esagerato stiamo raccogliendo i contro». Un manifesto vivente dei vini così comunemente detti naturali in cui oltre a quest’approccio in campo, si usa fermentare spontaneamente in cantina e procedimenti poco invasivi. «Vini veri e sinceri» che raccontano un territorio, un’annata e le persone che lavorano a questo progetto.

«Conosce ogni vite, la cura una per una e ogni giorno mi dice che lavori occorre fare su ognuna» mi confessa Graziella, figlia di Gaetano che ha deciso dal 2011 di etichettare producendo il vino come era sempre stato fatto.

«Prima vendevamo il mosto o le uve che non servivano per la nostra riserva di famiglia. Poi a insaputa di mio padre decisi di imbottigliare e dal qual momento abbiamo portato avanti il nostro progetto».

Cultura e civiltà del vino che diventa chiave di lettura della vita.

Prima di congedarci ‘Zio Gaetano’ – così affettuosamente l’ho salutato – mi regala una riflessione: «quando si lavorava, e tutti si lavorava c’era più saggezza. Oggi non ci sono più saggi e i giovani non vogliono lavorare».

Fortuna che esistono i saggi come lui.

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